TITOLO: Il piccolo burattinaio di Varsavia
AUTRICE: Eva Weaver
CASA EDITRICE: Mondadori
LA TRAMA: Mika ha dodici anni, una madre e un nonno. Vive a Varsavia e presto la sua esistenza verrà sconvolta dall'invasione nazista. Mika è ebreo. Lui e la sua famiglia vengono rinchiusi nel ghetto ebraico e costretti a una vita miserabile. Alla morte (violenta) del nonno, il ragazzino eredita il cappotto e il suo segreto: cucite nella fodera ci sono mille e mille tasche, all'interno delle quali il nonno proteggeva i suoi affetti più cari. Inoltre Mika scopre anche dei burattini, che diventeranno l'antidoto alla brutale quotidianità per lui e molti altri ebrei del ghetto. E non solo, anche i nazisti gli chiedono di intrattenerli con gli spettacoli, dando modo a Mika di intraprendere una seconda vita e di dare una mano alla resistenza.
LA MIA OPINIONE: ecco un classico caso di ottime premesse e di scarso risultato. Mentre riscrivevo la trama, mi ripetevo quanto l'idea di partenza fosse buona e si rinnovava la delusione per quanto ottenuto. Un librino bellino, ecco come lo definirei (il che equivale a dire che una ragazza è simpatica o un uomo "un tipo"). Non che sia tutto da buttare, alcune cose sono ben fatte, ma in generale direi che è da riscrivere. Prendendo spunto dalla trama di 1Q84, assumerei un ghost writer per riscrivere da capo questa storia. Ma purtroppo non basterebbe, perché non è solo lo stile a deludermi (dopotutto sto leggendo in traduzione), ma anche alcuni snodi della storia... No via, non riesco a salvarlo. Troppo smielato, pieno di buoni sentimenti e facile speranza. Tutte belle cose certo, ma stiamo ambientando una storia del capitolo più nero, più infernale, più spietato e meno umano dello scorso secolo. Le piccole gioie, in oscuri momenti, fanno più luce del sole, è vero, ma qui si esagera. Ma andiamo per gradi.
Non mi è piaciuta l'assenza di grandi descrizioni. Io non le amo alla follia, ma in un romanzo ambientato in un'altra epoca si deve permettere al lettore di entrare nell'atmosfera del momento, si deve dipingere un ottimo sfondo per dare verosimiglianza alla trama, altrimenti non si vivono appieno gli eventi. Per me sono assenti non giustificati.
Troppa velocità. La Weaver sembra avere il tempo contato per poter dire tutto. Si corre, si corre da un evento all'altro e non ci si gusta neanche un momento.
Il personaggio è un ragazzo (nella seconda parte un uomo, non sveliamo chi, poi si passa al narratore in terza persona senza cambi di stile!) ma io sento una voce femminile narrare. Non c'è sospensione dell'incredulità e si sente la mancanza di penetrazione nell'io maschile. E poi, piange in continuazione! Ecchecacchio! Animo sensibile? Ok, ma ritengo questo Mika patetico più di un Werther (e amo Werther alla follia)!
Inoltre è inverosimile sotto diversi punti di vista. Non arriva mai a essere crudele, sembra che l'autrice abbia paura di farci troppo male, le morti sono descritte come dei passaggi dolci, senza dolore, ci sono pentimenti e riconciliazioni da sindrome di Edipo infarcite di psicoterapia... Uffaa!!
Sinceramente, di Roberto Benigni ce n'è uno solo e di opere come "La vita è bella" molto poche. Questa non è una di queste.
Insomma, la sagra dei buoni sentimenti conditi con zucchero a velo. Potrei farlo leggere ai miei figli in futuro, ma credo che lo troverebbero comunque inadeguato a raccontare l'Olocausto, in quanto avrebbero già letto "L'amico ritrovato" (Fred Uhlman).
IN DUE PAROLE: inverosimile e sdolcinato
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